SE SI PROVA L’ALIENAZIONE GENITORIALE VIENE STABILITO L’AFFIDO ESCLUSIVO DEI FIGLI ALL’ALTRO GENITORE

Affido super esclusivo dei figli al padre, con collocazione provvisoria semestrale presso una struttura specializzata dei piccoli, per riparare i danni dell’Alienazione genitoriale subita : quando la competenza psicogiuridica entra nelle aule di Giustizia.

Un vero e proprio caso di scuola della corretta applicazione del combinato disposto degli Articoli 337 ter e quater del Codice Civile . (Provvedimenti riguardo ai figli – affidamento ad un solo genitore).

Il caso affrontato dal Tribunale di Cosenza da un lato per la complessità e correttezza delle indagini espletate e dall’altro per la “schiettezza” con la quale si sono manifestate le inadeguatezze genitoriali, può senz’altro costituire un singolare caso di scuola per comprendere, facilitati dall’esistenza di esempi concreti, cosa si debba fare e cosa non si debba fare, per tutelare effettivamente, e non solo a parole, il Diritto riconosciuto dall’art. 337 ter del CC a che i minori mantengano “rapporti equilibrati e significativi con entrambi i genitori” sino a quando non risulti, come nel caso de quo, l’esplicitazione della genitorialità di uno dei due, essere “contraria” ed quindi dannosa all’interesse dei figli. (337-quater CC).

Il caso di specie affrontato in giudizio, vedeva la contrapposizione speculare delle richieste di “collocamento dei figli” per l’esercizio della responsabilità genitoriale, formulata da due genitori, al termine della loro storia relazionale.

Il padre chiedeva che i figli gli fossero affidati in via esclusiva, mentre la madre come prima richiesta si riportava al dettato della legge ed individuava nell’affido condiviso, la corretta modalità di gestione della responsabilità genitoriale.

Il tempo nel quale i due avevano adito il Tribunale ordinario, concomitante con l’estate, portava le parti ad accordarsi per un primo rinvio d’udienza a dopo la pausa estiva, concordando formalmente l’impegno della madre (con la quale i due piccoli erano rimasti a vivere) a che ai due piccoli venisse assicurata la possibilità di passare il mese di luglio 2014, con il loro padre.

L’estate, contrariamente a quanto convenuto davanti al giudice, ha costituito il momento dell’esplosione incontrollata delle “diverse intenzioni materne” rispetto ai patti concordati, evidentemente al solo fine di non dover sottostare ad una prima immediata verifica, da parte del giudice, che sarebbe senz’altro intervenuta, in mancanza di una apparente “condivisione della genitorialità”.

Nel corso dell’estate infatti, la madre aveva provveduto finanche a denunciare il padre per presunti abusi sessuali in danno dei piccoli figli e solo la tempestività e la solerzia, talmente rara nel nostro paese da risultare veramente encomiabile, con la quale si erano svolti gli articolati ed effettivi accertamenti da parte della procura di Cosenza, aveva permesso al padre di potersi presentare nel corso delle successive udienze, già a maggio 2015, con una “ordinanza di archiviazione” per la non sussistenza del fatto.

La Procura di Cosenza incaricata nel luglio della questione aveva, infatti, nominato come ausiliario della P.G. un medico neuropsichiatra infantile che, provvedendo alla interazione con i minori, aveva rilevato come “i minori avevano esposto fatti non veritieri, fornendo un racconto – ritualizzato pieno di fantasie” e per quanto riguardava il più piccolo dei figli, questi aveva ripetuto il racconto in modo del tutto identico a quello della sorella nei confronti della quale “manifestava una forte dipendenza”.

Non solo, nella parte motiva della sentenza, la Giudice relatrice si sofferma ad osservare come il perito del Pubblico Ministero, avesse evidenziato come “per la struttura e la modalità del racconto molti fatti sembrerebbero inverosimili, anche perché raccontati in maniera stereotipata e senza risonanza emotiva. I racconti non sono coerenti rispetto alla collocazione spazio temporale, sono strutturati in maniera eccessiva. Non sono presenti contesti particolareggiati, interazioni, complicazioni inaspettate durante l’evento”.

Ferma restando l’autonomia della fase di accertamento penale della sussistenza di un reato, il Collegio giudicante del procedimento civile provvide – nell’esercizio pieno e corretto del dovere di emettere un provvedimento di giustizia che assicurasse ai minori la pienezza del diritto a godere delle figure genitoriali – a nominare, contestualmente, un proprio Consulente di Ufficio, al quale ebbe a porre come quesito quello di “accertare quale fosse lo stato psicologico e la personalità delle parti e dei minori, con particolare riferimento ai rapporti tra questi con entrambi i genitori e con i relativi ambienti familiari” (nonni e parenti dei due rami).

Nella medesima sentenza viene riportato con precisione il risultato della relazione del Consulente del Tribunale che presenta un “elaborato dettagliato e preciso, accompagnato dai file degli incontri video-registrati con tutti i soggetti coinvolti nella vicenda”.

Accendendo così, anche per l’aspetto dell’analisi – in sentenza – della video-registrazione degli incontri, l’interesse di quanti si occupano dello studio del processo della famiglia.

Ed infatti nella vicenda de quo, al giudicante è stato possibile, solo per il tramite della video registrazione degli incontri consulenziali, attingere ad informazioni sul concreto svolgersi della genitorialità delle parti che, altrimenti, sarebbero state impossibili.

A completare la batteria dei rimedi a disposizione di “ogni giudice della famiglia” che abbia a dedicarsi coscienziosamente a tutelare il primario interesse dei minori, non possiamo non annoverare l’ulteriore elemento messo in campo dalla Giudice Relatrice : la stessa successivamente all’esame degli incontri video registrati, contenuti nella relazione di ufficio, ha infatti, come la legge prevede, disposto “l’osservazione degli incontri madre-figli e l’ascolto dei minori” in forma diretta da parte del giudice, attività istruttoria che le ha consentito di poter osservare con la Sentenza “la visione dei file contenenti le videoriprese dei colloqui del CTU con i genitori ed i minori e l’ascolto diretto dei piccoli da parte del giudice delegato, hanno consentito al Collegio di verificare direttamente le conclusioni del perito nominato”.

Di tale opera di verifica viene poi data chiara e precisa menzione nella parte motiva della pronuncia quando si osserva : “il CTU, dopo aver incontrato i minori ed i due genitori, sia singolarmente che congiuntamente, ed aver ad essi somministrato i test di rito, ha infatti concluso per un “condizionamento programmato” della madre nei confronti dei figli teso a logorare la figura paterna compresi anche i familiari (dello stesso) ed il posto in cui il medesimo vive. Nella lettura dell’atteggiamento (Art.336-bis c.c., n.d.r.) dei due minori, il perito ed il Tribunale mediante l’ascolto diretto dei due piccoli, hanno potuto constatare la sussistenza di un vero e proprio disturbo relazionale, avente le caratteristiche della “alienazione parentale” così come descritta (codificata) da ultimo nel DSM5 pubblicato nel maggio del 2013. Si è in particolare potuto constatare la sussitenza di una situazione di – ingiustificata campagna di denigrazione del minore contro il padre-.”

Ed ancora, a dimostrazione evidente di come sia possibile “direttamente” per il giudice della famiglia, operare un’analisi corretta e diretta del “vissuto” dei minori che la legge, per prima, gli impone di tutelare viene osservato : “insomma nessuna delle motivazioni poste dai minori alla base del loro rifiuto del padre è motivata e fondata su fatti seri, concreti ed obbiettivi, effettivamente vissuti e patiti dai due bambini che appaiono istruiti ad arte nella recita di un copione. Durante i colloqui con il CTU ed il Giudice Delegato i due minori continuavano, a ripetere che il loro padre era “cattivo” quasi roboticamente e ritualmente, senza alcun coinvolgimento o convinzione”.

Ma il lavoro di approfondimento della Giudice Relatrice non si limita a raccogliere solo tali elementi, nella motivazione della Sentenza in commento – che rappresenta senza dubbio una delle pronunce più attente e complete degli ultimi anni, sotto il profilo della cultura psicogiuridica, a dimostrazione di come sia effettivamente possibile tutelare, nei fatti, due minori con l’uso degli strumenti legali già previsti dalla legge, senza attenderne di nuovi – di più, nel fissare nella pronuncia, gli elementi della video-registrazione degli incontri il magistrato è attenta nell’osservare, testualmente, quanto segue :

“appena arrivata di fronte alla telecamera (la figlia minore) si profonde in una serie di insulti contro il padre, chiede di parlare con il – giudice dei grandi – per l’interrogatorio di “quinto grado”, giudice a cui direttamente spesso si rivolge attraverso la telecamera, chiedendo che metta (il padre) in carcere per le cose brutte che le ha fatto. Notando l’uso di tali espressioni e riferimenti (della piccola) alla circostanza che ella non conosce le tabelline, il perito scopre, inoltre, che i due minori sono stati preparati ai colloqui attraverso le visione di un video dal titolo “Marina era nei guai” fornito (alla madre) dalla CTP di parte Dott.ssa XX, al dichiarato fine di tranquillizzarli in vista degli incontri con il CTU (si veda relazione peritale a pag.9). Dalla trascrizione della traccia audio che di detto file, fa nella sua relazione il perito (del giudice) emerge che (la piccola) ripete le stesse frasi della “Marina” del video: evidente il condizionamento psicologico così ulteriormente operato sulla minore”.

Quanto poi alla fase dell’interazione dei minori con la stessa Giudice delegato all’audizione – correttamente riprendendo, il richiamo normativo specificamente contenuto nel nuovo testo dell’art. 336-bis c.c. Ascolto del minore (introdotto dalla Legge nr. 154/13) – il magistrato richiama il concetto normativo che prevede la “descrizione del contegno del minore” e giunge

così a riportare testualmente in Sentenza, riferendosi al figlio più piccolo della coppia : “dopo aver meccanicamente ripetuto di non voler veder il padre, rispondendo al Giudice ha ammesso che “un pochino, pochino, pochino” gli manca, che se lo incontrasse gli direbbe “ciao” (dicendo ciò si scherniva ed abbassava lo sguardo, abbozzando un sorriso). Ha inoltre detto, dopo averlo inizialmente negato di voler bene “pochino, pochino” al papà, agli zii ed al nonno paterni, tradendo un vero e proprio sentimento di affetto nei confronti del genitore alienato e della di lui famiglia di origine”.

Infine, nel ricostruire il quadro delle competenze genitoriali – necessario ex lege e non certo un capriccio, sopratutto quando come nel caso de quo, si possa e debba giungere ad una valutazione della “dannosità” del concreto agire dell’esercizio della responsabilità genitoriale materna – la Giudice relatrice ha testualmente ricordato, sempre in tema di osservazioni del CTU degli incontri dei minori in presenza della loro madre : “i due bambini appaiono del tutto dipendenti dalla figura materna con cui condividono una forte complicità e di cui cercano, anche con lo sguardo, la continua approvazione. L’alienazione del genitore (padre) appare in tutta la sua evidenza laddove i bambini arrivano oramai a confondere la figura paterna, individuandola in quella del nuovo compagno della madre (sig. tizio) di cui tessono le lodi e che risulta sempre vincente nel paragone, che essi stessi introducono, con il genitore naturale” e prosegue “Ella (la bambina) dice al CTU che (il padre) non è più suo padre.”

Il Tribunale di Cosenza ha così fissato, con la Sentenza in commento, uno degli eventi “tipici” di una alienazione genitoriale – in presenza del terzo nuovo compagno del genitore alienante – la sostituzione della figura di riferimento naturale con una diversa imposta, ed il Giudice relatore ha inteso ricordare, nello svolgere l’attenta motivazione, il portato di analisi di uno dei test somministrati dal CTU, test che costituisce, anch’esso, uno dei più tipici elaborati che vengono sottoposti all’attenzione delle parti di una famiglia, nel corso di un processo per la determinazione dei corretti spazi di genitorialità, quello del disegno della famiglia.

Nel merito di tale esame, viene infatti ricordato “il processo di alienazione della figura paterna con la contemporanea sostituzione di (il sig. tizio) e la confusione ingenerata nei due bambini si rileva in modo palese nell’incontro congiunto madre-figli espletato dal CTU. Il perito fa disegnare a ciascuno di loro la loro famiglia. I due bambini disegnano solo loro due e la madre, scrivendo accanto a ciascuna figura i rispettivi nomi (mamma e i loro due nomi). Quando la mamma disegna anche una figura maschile, scrivendoci accanto “papà” entrambi la guardano

con estremo stupore e rivolgendosi alla madre chiedono chi fosse (il loro papà naturale o il sig. Tizio). La madre risponde “un papà” (il CTU) chiede di precisare, di non scrivere solo papà, ma un “nome proprio” come hanno fatto loro due bambini, e lei risponde “io non scrivo nomi propri”.

Oltremodo interessante è, poi, l’analisi che del punto compie il magistrato : “come fa notare il CTU – tale episodio appare molto significativo, poiché lascia intravedere il reale rapporto tra madre e figli. Ad un compito specifico (disegnate la vostra famiglia) affidato a tutti e tre, disegnano solo i due bambini, mentre la madre rimane ad osservare (rectius a controllare) ciò che disegnano i bambini (che non disegnano alcuna figura paterna). Al termine ecco l’elemento a sorpresa della madre – la figura paterna – che spiazza i bambini. In realtà è come se ella avesse tradito il loro patto, la loro fiducia, tanto da scatenare la loro reazione di incredulità e sorpresa.”

Un’ultima ed ulteriore annotazione, significativa dell’attenzione posta dal Tribunale di Cosenza all’analisi integrata dei portati psicogiuridici introdotti nel processo dall’opera dei Periti, la incontriamo quando la Relatrice Filomena De Sanzo ricorda ed annota : “Significativo dell’ingerenza (della madre) nell’impedire “l’accesso psichico” dei figli all’altro genitore è, infine, un ultimo episodio annotato dal perito e registrato dalle videoriprese. Dalla video camera posta nella stanza dei Consulenti tecnici di parte, si può infatti osservare chiaramente che (il padre) subito dopo la fine del colloquio dei figli con il CTU e la madre, ad un certo punto, vedendo nel corridoio (i piccoli) si alza dalla sedia per cercare un contatto con i bambini che uscivano dalla stanza del colloquio con il perito. Si vede allora (la madre) che li raggiunge ed intima ai figli di non uscire dalla stanza, chiudendo la porta dei colloqui col perito e rimanendo “a guardia” appoggiata alla porta, per evitare qualsiasi contatto dei bambini con il padre.”

Alla luce di tutte queste puntuali e centrate osservazioni, è così che l’intero Collegio del Tribunale di Cosenza può giungere ad una condivisa conclusione circa “l’inidoneità (della madre) ad essere genitore affidatario dei bambini” osservando in tal senso “si tratta di condotte che complessivamente valutate, convincono il Collegio dell’assoluta inidoneità della (madre) ad occuparsi dei figli minori, che gestisce ed utilizza in base alle sue esigenze ed alle proprie convinzioni, senza mostrare alcun rispetto per il loro diritto a coltivare il rapporto anche con l’altro genitore, da cui invece tenta di allontanarli, anche fisicamente – come dimostra la

richiesta di trasferimento dei figli in una scuola (lontana e diversa) che renderebbe, se attuato, oltremodo difficile la frequentazione con (il padre) che vive e lavora stabilmente in (località).”

Ancora, il Collegio osserva con la Sentenza come “il CTU che ha sottoposto a consulenza sulla personalità sia (la madre) che (il padre) ha formulato per la ricorrente (la madre) una diagnosi di probabile “MBO (Munchausen Syndrome by Proxy) – falsi abusi sessuali – (riconosciuta dal DSM5 a pagina 357) che consiste sommariamente in una – sindrome nella quale le madri simulano o producono una malattia medica nel figlio, che fanno visitare da medici pediatri, ospedali ecc. senza che gli specialisti riescano a trovare alcun riscontro clinico. Ed è proprio ciò che si è riscontrato nel caso di specie : nonostante la procura ed il Gip abbiano escluso abusi sessuali, non ostante il Collegio abbia espletato ogni più scrupoloso accertamento volto a verificare la veridicità o meno del racconto dei minori, che è risultato palesemente frutto di ideazione (invero etero-indotta) da parte dei figli, (la madre) di ostina ancora a credere (o a voler far credere di credere) che i suoi figli siano stati abusati. Spiega il perito che l’insistenza (della madre) nel ritenere che i figli siano stati abusati sessualmente, si intreccia con il profilo di personalità della madre della MBO, che nella convinzione di operare per il bene del figlio o addirittura spinta da distorsioni cognitive e di personalità, la induco a nuocere in maniera irreversibile al bambino.”

Così ricostruendo con la forza della scienza psichiatrica, l’elemento richiesto dalla legge per l’esclusione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, ovvero quello di “esser di danno ai figli”.

Un’ultima considerazione si impone poi, in merito alla soluzione – concretamente adottata dalla Sentenza in commento – al momento di dover risolvere un nodo sempre, drammaticamente, presente nelle storie di grave alienazione genitoriale : quello dell’esistenza – sì indotta ma concretamente in essere – del rifiuto dei minori della figura paterna.

Non può infatti dimenticarsi come, in altri casi, le Relazioni consulenziali abbiano portato il tema del rifiuto e quello speculare dell’esistenza di un rapporto simbiotico con il genitore alienante, come un nodo, apparentemente, insuperabile.

Deve quindi riconoscersi un ulteriore pregio alla pronuncia del Tribunale di Cosenza del 29 luglio del 2015, là dove affrontando, come ogni giudice, questo dilemma, abbia osservato, nel

tutelare concretamente i figli della coppia e senza, quindi, limitarsi ad una sentenza di stile : “ritiene dunque il Tribunale che, fermo il disposto affido esclusivo dei minori al padre, (i bambini) devono essere allontanati dalla figura materna per potersi emancipare dalla dipendenza psicologica che hanno sviluppato nei suoi confronti – debbano (quindi) essere collocati, per un periodo di almeno sei mesi presso una struttura di accoglienza specialistica (individuata nella casa di accoglienza XX) di modo da poter gradualmente riacquisire indipendenza di pensiero e riavvicinarsi al padre, riscoprendo e facendo riaffiorare i sentimenti sopiti per lui”.

Pertanto, affidamento super esclusivo al padre e previsione della presenza e dell’assistenza degli assistenti sociali, in tutte le occasioni di incontro con la madre, che sono state fissate – anche dopo lo spirare del semestre di osservazione e ri-inserimento della figura paterna – in due soli momenti della settimana, dall’uscita da scuola sino alle 19 sino, almeno, al termine del percorso del programma di intervento sul nucleo familiare previsto dai Servizi Sociali.

AVV. CARLO IOPPOLI

PRESIDENTE AVVOCATI FAMILIARISTI ITALIANI


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