Provieni da famiglia agiata? Non hai diritto all'assegno divorzile

L'avere alle spalle una famiglia agiata e il possedere un titolo di studio – laurea in Giurisprudenza con successiva abilitazione all'esercizio della professione di avvocato, nello specifico – spendibile nel mercato del lavoro rende impossibile per la donna pretendere, dopo la chiusura del matrimonio, l'assegno divorzile dall'ex marito.

Passaggio decisivo è quello in Appello, dove i giudici azzerano l'assegno divorzile – 300 euro al mese – riconosciuto all'ex moglie a seguito della ufficiale conclusione del matrimonio.

Questo provvedimento viene motivato alla luce della «ritenuta autosufficienza economica della donna», la quale, osservano i giudici, ha ottenuto «l'assegnazione della ex casa coniugale», è titolare di «una laurea in Giurisprudenza che può assicurarle, ove messa a frutto, adeguati redditi», e beneficia «del godimento di redditi, anche se contenuti; della titolarità di importanti cespiti mobiliari ed immobiliari».

Nel contesto della Cassazione la donna mette in discussione le valutazioni compiute in Appello, e a proprio favore pone in evidenza «la enorme disparità reddituale» rispetto all'ex marito e «l'impossibilità per lei di svolgere un'esistenza libera e dignitosa con i redditi posseduti, frutto degli immobili goduti» ossia «un piccolissimo affitto ricavato da un appartamento» a cui si aggiungono «la disponibilità di un immobile per i figli e le loro vacanze» e «la proprietà di un immobile in capo alla propria madre».

Per completare il quadro, poi, la donna sottolinea ancora «la scelta condivisa con il coniuge di non lavorare per crescere i due figli» e «la possibilità data al marito di diventare dirigente d'industria» nonché «la durata del matrimonio», e infine «la rinuncia a svolgere la professione di avvocato per dedicarsi alla famiglia».

Infine, la donna sostiene anche sia erronea la posizione assunta dai giudici di secondo grado, i quali hanno messo per iscritto che «ella avrebbe potuto, all'età di 54 anni, riciclarsi nel mondo del lavoro».

In premessa, i Giudici di Cassazione ribadiscono che «i criteri attributivi e determinativi dell'assegno divorzile non dipendono dal tenore di vita godibile durante il matrimonio, operando lo squilibrio economico patrimoniale tra i coniugi unicamente come precondizione fattuale in ragione della finalità composita – assistenziale, perequativa e compensativa – dell'assegno».

Poi, entrando nei dettagli della vicenda, i magistrati osservano che «non si è realizzato il peggioramento della situazione economico-patrimoniale» della donna, la cui condizione è anzi «complessivamente più solida del marito». E questa posizione di forza della donna si è manifestata «fin dall'inizio della vita matrimoniale, in ragione di sua più forte consistenza reddituale della famiglia di origine che ha formato il livello reddituale della donna, poi mantenuto in costanza di matrimonio».

Di conseguenza, una volta «escluso lo squilibrio economico-patrimoniale tra i coniugi, squilibrio insussistente al momento del matrimonio», è logico escludere, spiegano i Giudici, che il venir meno del vincolo coniugale abbia determinato «un impoverimento della ex moglie che godeva e continua a godere di immobili ed entrate in ragione dell'agiata posizione economica della famiglia di origine, pur non lavorando».

A inchiodare la donna, infine, anche il fatto che ella sia avvocato e «abbia un titolo che le consenta di immettersi sul mercato del lavoro, restando comunque titolare di redditi che le garantiscono un'ampia autosufficienza economica», concludono i magistrati

AVV. CARLO IOPPOLI- PRESIDENTE AVVOCATI FAMILIARISTI ITALIANI


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