Il diritto del minore ad essere ascoltato nei giudizi che lo riguardano è previsto a tutela dello stesso
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con sentenza n. 16410/20 depositata il 30 luglio.
Due nonni paterni chiesero al Tribunale per i minorenni competente di veder riconosciuto il proprio diritto a poter incontrare la nipote, la quale era stata collocata presso la madre nel contesto del giudizio di separazione dal di lei marito. Il Tribunale per i minorenni, però, respinse l’istanza osservando che i ricorrenti non avevano mai attenuato l’atteggiamento di aspro conflitto e di aperta denigrazione nei confronti della nuora, e si erano rifiutati di intraprendere un percorso progressivo di riavvicinamento alla nipote attraverso incontri, dapprima protetti e poi eventualmente liberi; cosicché i predetti nonni avevano mostrato di non essere in possesso di adeguate capacità di gestione autonoma dei contatti con la bambina. I due anziani, ovviamente, impugnarono il decreto, eccependone la nullità per mancata previa audizione della minore e per ultra-petizione, oltre che l’erroneità nel merito. Nel procedimento intervenne anche il padre della minore, il quale aderiva alle tesi dei reclamanti ma, nella resistenza della madre della piccola, la Corte di appello rigettò il reclamo. Il Collegio, in particolare, ritenne che la dedotta nullità per omessa audizione della minore fosse insussistente, essendosi trattato di soggetto di appena nove anni, non apparendo comunque l’audizione necessaria una volta appurato che il divieto di incontri si era basato sulla mancanza di adeguate capacità educative ed affettive in capo ai nonni, e sull’atteggiamento dei medesimi, pregiudizievole per l’equilibrio alla crescita psicologica della bambina. Ritenne, altresì, inesistente il vizio di ultra-petizione, considerati gli ampi poteri officiosi del Tribunale per i minorenni anche oltre limiti della domanda, in vista della salvaguardia degli interessi del minore. Infine, richiamò la c.t.u., eseguita nel giudizio del divorzio tra le parti, per dire che questa era stata delimitata dalla necessità di stabilire le sole capacità educative dei genitori mentre, quanto ai nonni, la ricostruzione della capacità educativa era stata impedita dall’atteggiamento non collaborativo tenuto dinanzi al Tribunale per i minorenni, non avendo essi inteso sottoporsi a nuova consulenza tecnica. Per la cassazione del suddetto decreto della Corte di appello i due nonni proposero ricorso affidato a tre motivi, cui replicò la mamma della minorenne.
Date l’importanza delle argomentazioni usate dalla Suprema Corte e la delicatezza della materia, si anticipa sin da subito che gli Ermellini hanno accolto il primo e il terzo motivo di ricorso degli anziani nonni, cassato la decisione impugnata in relazione alle dette ragioni e rinviato, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla competente Corte d’Appello. Le argomentazioni sono le seguenti.
Il diritto del minore di instaurare rapporti significativi coi parenti ed il diritto di ascolto. Nella pronuncia, la Suprema Corte ha ricordato preliminarmente che i principi desumibili dalla CEDU, dalla Carta di Nizza e dalla Costituzione portano ad affermare che nell’ordinamento esiste un vero e proprio diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. A questo diritto -precisa la Suprema Corte- corrisponde uno speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti. Per queste ragioni i provvedimenti che incidono sul diritto degli ascendenti ad instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni hanno attitudine al giudicato, seppure rebus sic stantibus, in quanto non sono revocabili o modificabili salva la sopravvenienza di fatti nuovi, e definiscono procedimenti che dirimono conflitti tra posizioni soggettive diverse, nei quali il minore è da considerare parte. Per questo il relativo decreto della Corte di appello emesso in sede di reclamo, a conferma o revoca o modifica dei predetti provvedimenti, è impugnabile con ricorso per cassazione. Secondo un orientamento -condiviso dagli Ermellini- la detta constatazione implica che la posizione di parte del minore non possa essere pretermessa nel procedimento che lo riguarda, e questo risulta in un certo qual modo confermato dall’inciso dell’art. 336, commi 2 e 4, c.c., secondo cui il minore non solo va sentito se ultra dodicenne, ovvero anche se infra-dodicenne ove capace di discernimento, ma deve essere altresì assistito da un difensore. Tuttavia, sull’estensione di questa regola la Suprema Corte osserva che si registrano alcune non secondarie divergenze tra un indirizzo mantenutosi in posizione cauta, se si vuole meglio dire restrittiva, ed un altro invece attestatosi su una esegesi più ampia.
In argomento, tra l’altro, viene menzionata la pronuncia n. 1/2002 della Corte costituzionale con la quale è stato precisato che l’art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo -resa esecutiva nell’ordinamento italiano nel 1991- alla stregua di una norma integrativa della disciplina codicistica, ha configurato per il minore capace di discernimento -e come tale appunto parte del procedimento che lo riguarda- la necessità del contraddittorio. La modalità di gestione di questo contraddittorio, tuttavia, è stata lasciata volutamente libera, nel senso che il previo riferimento al contraddittorio non può essere enfatizzato come elemento di validità formale del giudizio. E per gli Ermellini, dalla sentenza della Corte costituzionale, si evince fondamentalmente questo: l’art. 12 della Convenzione, da un lato, ha disposto che il minore capace di discernimento ha diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa e, per altro verso, ha presupposto doversi dare al minore, al detto specifico fine, la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante od un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.
Sulla scorta di tutto quanto precede, la lettura razionale di questa decisione induce la Suprema Corte a valorizzare la necessità di ascolto del minore ai fini del merito, non già la valenza procedimentale dell’incombente. Gli Ermellini osservano, così, che -anche nella fattispecie esaminata- questa chiave di lettura va stimata come base dell’orientamento che pone in luce la particolarità dell’attribuzione ai minori del concetto di ‘parte’ nel processo. Concetto che -per la Suprema Corte- si concretizza e si esprime non nella necessità di una partecipazione formale ma nel diritto del minore di essere ascoltato ai fini del merito, in quanto parte sostanziale, cioè soggetto portatore di interessi comunque diversi da quelli dei genitori. In altre parole, l’audizione dei minori, già prevista nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, è diventata un adempimento necessario nelle procedure giudiziarie che lo riguardano e, in particolare, in quelle relative al loro affidamento. La posizione del minore -quale parte in senso sostanziale di ogni procedimento che lo riguarda- deve trovare il punto di tutela proprio nel diritto di essere ascoltato. Cosicché costituisce violazione, in questo limitato senso, del principio del contraddittorio e dei diritti del minore il mancato ascolto che non sia sorretto da un’espressa motivazione sull’assenza di discernimento, che sia tale da giustificarlo.
In altri termini, la relativa audizione può essere omessa? Sì, ma solo nel caso in cui, tenuto conto del grado di maturità del minore medesimo, sussistano particolari ragioni che la sconsiglino, ragioni da indicare in modo puntuale e specifico nella pronuncia.
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