Figlia minorenne va a vivere con il padre: non è comunque sufficiente per assegnare all’uomo la casa in cui hanno vissuto come famiglia prima della rottura del matrimonio


A dare il “la” alla vicenda giudiziaria è l’istanza con cui Mario – nome di fantasia – chiede la modifica delle condizioni di separazione, ossia, in particolare, disporre, fermo restando l’affido condiviso della figlia ad entrambi i genitori, la residenza privilegiata della minore presso di lui, e devolvere l’ex casa coniugale totalmente in favore della figlia, in quanto alla ragazzina era stata da lui ceduta a titolo di assegno di mantenimento perenne. Senza dimenticare, poi, che la minorenne non convive più con la madre – Ornella, nome di fantasia –, e ciò consente, secondo Mario, di revocare il diritto di usufrutto sulla casa in origine riconosciuto alla donna, che non ha più con sé la figlia.

Per i giudici di merito, è possibile il collocamento prevalente della minore presso il padre, con facoltà di scelta della minore stessa sui tempi di permanenza presso la madre, revocando, allo stesso tempo, l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento per la figlia posto a carico del padre, e invece ponendo a carico della madre l’obbligo di versare un assegno mensile di 200 euro a titolo di contributo al mantenimento della figlia, oltre al 50 per cento delle spese straordinarie.

Nessuna apertura dei giudici di merito, invece, in merito alla possibile assegnazione la casa coniugale all’uomo, in quanto padre convivente con la figlia minorenne, fino alla maggiore età della ragazzina. Ciò perché «il rapporto preferenziale della figlia minorenne con l’habitat domestico, rapporto riconducibile alla pregressa vita familiare, è venuto meno», secondo i giudici, «in quanto – come riferito dallo stesso Mario – la figlia vive ininterrottamente da più di quattro anni in un’altra abitazione e quindi in un diverso contesto familiare, ben lontana da abitudini, consuetudini di vita e relazioni domestiche proprie della abitazione di cui l’uomo chiede l’assegnazione».

In sostanza, «la ragazzina è oramai sradicata dal luogo in cui si era svolta la vita familiare quando i genitori erano ancora insieme», e questo dato di fatto rende impossibile l’assegnazione a Mario della casa utilizzata dalla coppia durante gli anni di matrimonio.

Inutili le obiezioni ulteriori sollevate in Cassazione da Mario e legate anche al presunto «interesse mostrato dalla figlia» alla possibilità di «ritornare a vivere nella casa di nascita». Per i Giudici di terzo grado, difatti, è assolutamente corretta, e perciò condivisibile, la valutazione compiuta in appello e centrata, come detto, sull’accertato venire meno del «rapporto preferenziale della figlia minorenne con l’habitat domestico riconducibile alla pregressa vita familiare». Decisiva la constatazione del fatto che la ragazzina «vive ininterrottamente, da più di quattro anni, in un’altra casa, e quindi in un diverso contesto familiare, ben lontana da abitudini, consuetudini di vita e relazioni domestiche proprie della abitazione» condivisa coi genitori.

Indiscutibile, anche secondo i Giudici di Cassazione, l’avvenuto sradicamento della ragazzina. E questo dettaglio non può essere secondario, soprattutto tenendo presente che «l’assegnazione della casa familiare è finalizzata unicamente alla tutela della prole e non può essere disposta come se fosse una componente dell’assegno di mantenimento, dovendo ritenersi estranea alla decisione di assegnazione della casa coniugale ogni valutazione relativa alla ponderazione tra interessi di natura solo economica dei coniugi o dei figli, ove in tali valutazioni non entrino in gioco le esigenze della prole di rimanere nel quotidiano ambiente domestico».

In linea generale, poi, «va tutelato l’ambiente ove il minore ha cominciato a vivere e a relazionarsi come persona, tanto da considerare quella specifica casa come la proiezione nello spazio della sua identità all’interno di uno specifico contesto ambientale e sociale. E deve, dunque, valutarsi l’esistenza di uno stabile legame fra il minore e l’immobile già adibito a casa familiare, verificando, in caso di allontanamento e in considerazione del tempo trascorso, la persistenza di tale legame».

Proprio ragionando in questa ottica, i magistrati di Cassazione ritengono, come già i giudici di appello, che «la durata di quattro anni dell’allontanamento volontario della minore» abbia «compromesso lo stabile legame con l’immobile già adibito a casa familiare», e ciò consente anche di «escludere la possibilità di rinsaldare e consolidare tale rapporto con la casa» in cui la ragazzina è nata e ha vissuto per diversi anni assieme a madre e padre.

Cass. civ., sez. I, ord., 19 maggio 2025, n. 13138
AVV. CARLO IOPPOLI - PRESIDENTE DEGLI AVVOCATI FAMILIARISTI ITALIANI
mail: avvocatoioppoli@gmail.com

1 commento


  • Giacinto Lombardi

    Il punto non detto è un altro: a chi appartiene la prorprietà della casa? Se la casa è del padre rimane e assegnata alla madre senza che la filgia viva con lei, allora la Cassazione è nel torto, se la casa è di proprietà della madre allora è giusto che rimanga a lei. Questo è il punto che vorrei conoscere. Chi è il legittimo proprietario della casa?


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