Distinzione tra violenza assistita da minori e conflitto
Nelle separazioni coniugali altamente conflittuali, la relazione di coppia tende facilmente a tramutare in un rapporto di triangolazione, che va ad includere la figura del bambino nella dinamica litigiosa tra i genitori.
Ma cosa distingue una situazione altamente conflittuale da una di violenza assistita da minori?
Il confine è labile, ma preciso al tempo stesso.
Da una prima definizione di violenza assistita fornita in Italia nel 2003 in occasione del Congresso Cismai svoltosi Firenze, sappiamo che “per violenza assistita da minori in ambito famigliare si intende il fare esperienza da parte del/della bambino/bambina di qualsiasi forma di maltrattamento compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, adulte e minori. Si includono le violenze messe in atto da minori su minori e/o su altri membri della famiglia, gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni di animali domestici. Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando avvengono nel suo campo percettivo) o indirettamente (quando ne è a conoscenza e/o ne percepisce gli effetti)”.
Ai fini della distizione tra il fenomeno di violenza assistita e la situazione altamente conflittuale è necessario focalizzarsi sulla relazione di coppia genitoriale: il conflitto infatti, implica una relazione simmetrica e prevede un dissenso litigioso fra due persone alla pari, le quali reciprocamente si percepiscono e si considerano tali; la violenza assistita dai minori invece, suppone l’esistenza di una relazione asimmetrica, nella quale uno dei due partner ricorre allo strumento della violenza per affermare e mantenere una dinamica di potere e controllo sull’altro, limitandone la libertà dinanzi agli occhi dei bambini. Tuttavia, la mera distinzione tra le due condizioni non genera una differenziazione di bilanciamento in ordine alla gravità delle conseguenze che potrebbero scaturire nell’una o nell’altra ipotesi a danno dei minori. Essi, infatti, potrebbero in ogni caso subirne effetti gravi a breve, medio e lungo termine sotto il profilo dello sviluppo psicologico, cognitivo, emotivo, relazionale e sociale, con tempi di insorgenza relativi.
Conseguenze queste, che potrebbero essere disattese attravero una rilevazione precoce delle situazioni di rischio ed una presa di coscienza da parte delle figure genitoriali altamente litigiose o dei soggetti coinvolti nel fenomeno di violenza assistita. Non è un caso che il rilevamento tempestivo e la valutazione delle dinamiche familiari da parte del professionista esperto, andranno ad incentrarsi sull’analisi della tipologia di relazione di coppia, sulle caratteristiche disfunzionali della stessa, sulle interazioni tra i singoli e sulle ripercussioni delle conseguenze sfavorevoli su ogni componente della famiglia.
Per ciò che attiene alla rilevazione del vissuto del bambino, con particolare riferimento allo svelamento delle emozioni – campanellino di allarme – (paura, dissociazione, congelamento emotivo, impotenza, angoscia, rabbia), è bene specificare che si tratta di una fase di intervento particolarmente delicata alla quale occorre approcciarsi con adeguate competenze, in quanto l’apparente invisibilità del disagio potrebbe indurre erroneamente alla minimizzazione della problematica o, nei casi estremi, alla mancata rilevazione del disagio.
Dr.ssa Iole Ricci – Referente ANFI Benevento
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