Assegno troppo gravoso per l’ex marito. Ma la corte non crede alla disoccupazione del giovane idraulico.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 769/18, depositata il 15 gennaio.

Il caso.

La Corte d’Appello di Milano, pronunciandosi sul gravame proposto dall’ex marito nei confronti della sentenza di prime cure che sancendo la separazione personale dei coniugi aveva fissato a suo carico un assegno di mantenimento per l’ex consorte ed i figli, non accoglieva la tesi della difficoltà economica dell’uomo che chiedeva una modificazione delle statuizioni economiche. I Giudici milanesi affermavano che «valutate le condizioni soggettive del coniuge obbligato (soggetto giovane ed in salute, di professione idraulico) e la non credibilità della situazione attuale di disoccupazione e delle dichiarazioni dei redditi presentate dal medesimo» appare che «lo stesso verosimilmente svolgeva “attività di lavoro magari in nero” o disponeva di “accantonamenti”».
L’ex marito impugna la sentenza con ricorso per cassazione, ma i Giudici di legittimità confermano la valutazione di seconde cure.

Situazione economica precaria.

Il ricorrente si duole per aver i Giudici d’appello fondato la propria decisione «su affermazioni frutto di scienza privata e su fatti non qualificabili come notori», nonché per aver ritenuto inattendibili le dichiarazioni dei redditi prodotte in giudizio senza disporre accertamenti tributari sulla sua reale capacità economica.
La censura viene smontata dal Collegio che ricorda come le dichiarazioni dei redditi dell’obbligato risponde a fini meramente fiscali, non potendo assumere rilevanza vincolante per il giudice nelle controversie relative a rapporti estranei al sistema tributario.
L’art. 156, comma 2, c.c. prevede infatti che il giudice nel determinare la misura dell’assegno tenga conto non solo dei redditi ma anche di altre circostanze fattuali non individuabili a priori e relative a tutti gli elementi apprezzabili in termini economici, comunque idonei ad incidere sulle condizioni economiche delle parti.
In tal senso dunque la Corte territoriale aveva argomentato la propria decisione ritenendo «poco credibili» le deduzioni del ricorrente sul suo stato di disoccupazione «avendo lo stesso “una professionalità sempre richiesta, quella dell’idraulico, settore che non conosce crisi”», ritenendo in conclusione che egli «svolgesse “attività di lavoro magari in nero” o disponesse di “accantonamenti”, trattandosi comunque di “soggetto in salute, giovane, con capacità di lavoro specifica e che può adattarsi a reperire altro lavoro».

Potere discrezionale del giudice di merito.

La Suprema Corte riconduce tale argomentazione alle «nozioni di comune esperienza (fatto notorio)» riconducibili all’esercizio del potere discrezionale riservato al giudice di merito.
Nell’ambito della nozione di “fatti notori”, precisa la Corte, rientra ogni «fatto acquisito alle conoscenza della collettività con grado di certezza, di conseguenza non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari».
Nel caso di specie però il giudice si è limitato a ritenere non credibile la situazione descritta dal ricorrente sulla base di una valutazione comparativa dei redditi dei due coniugi e del tenore di vita goduto durante il matrimonio, senza incorre in «criteri di notorietà giuridicamente inesatti o in mere congetture».
In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

AVV. CARLO IOPPOLI – PRESIDENTE AVVOCATI FAMILIARISTI ITALIANI

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